Cambiamenti climatici nel Mediterraneo, oltre 200 nuove specie

Due studi del CNR evidenziano le conseguenze dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo e la storia dell’avvento di oltre 200 specie ittiche

Negli ultimi 130 anni i cambiamenti climatici nel Mediterraneo hanno comportato l’arrivo di centinaia di specie “aliene”. Pesci provenienti dal Mar Rosso, giunti nel mare nostrum attraverso il Canale di Suez o tramite trasporti navali o rilascio da acquari. Inoltre, per il futuro esiste la possibilità che il fenomeno si estenda all’Oceano Atlantico. Questo ha portato, oggi, a riconoscere il Mar Mediterraneo come la regione marina più invasa al mondo.

Questi argomenti sono il fulcro di due ricerche coordinate dall’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del CNR. La prima illustra come la penetrazione di diverse specie ittiche dal Mar Rosso al Mar Mediterraneo, attraverso il Canale di Suez, possa in futuro estendersi all’Oceano Atlantico a causa dei cambiamenti climatici. Il secondo studio, pubblicato dalla rivista “Global Change Biology” ricostruisce la storia delle invasioni biologiche nel Mediterraneo, esaminando le specie ittiche introdotte dal 1896.

Cambiamenti climatici nel Mediterraneo, le origini

«L’apertura del canale di Suez nel 1896 – spiega Ernesto Azzurro del Cnr-Irbim di Ancona – ristabiliva un contatto tra il Mar Rosso e il Mediterraneo, permettendo a centinaia di specie esotiche, tra cui più di cento pesci tropicali, di penetrare e invadere il mare nostrum». Un fenomeno, prosegue il ricercatore, conosciuto con il termine di migrazione lessepsiana. Questo in omaggio all’ingegnere francese Ferdinand de Lesseps che realizzò il Canale di Suez. Lo studio è stato recentemente pubblicato su “Frontiers in Ecology and the Environment”. Attraverso un set di modelli di distribuzione e testato su dieci specie ittiche, illustra la possibilità di una migrazione lessepsiana estesa che implicherebbe la riconnessione degli oceani Indo-Pacifico e Atlantico, separati da milioni di anni.

Le nuove specie del Mediterraneo

Lo studio, infatti, ricorda le segnalazioni di alcune specie del Mar Rosso ritrovate alle porte dell’Atlantico, in prossimità dello stretto di Gibilterra. Si tratta del pesce palla maculato (“Lagocephalus sceleratus”), del pesce flauto (“Fistularia commersoni”) e della sardina di Golani (“Etrumeus golanii”). Si va verso uno scenario di omogenizzazione biotica che rende necessario un intervento quanto prima per arginare i cambiamenti climatici nel Mediterraneo e non solo. «L’emissione di gas serra in atmosfera – spiega Azzurro – sta spingendo il nostro pianeta verso delle soglie critiche e questo studio ribadisce la necessità di accelerare l’attuazione di politiche climatiche, come concordato alla scorsa COP 26 e come sostenuto dalla comunità scientifica internazionale».

cambiamenti climatici nel Mediterraneo, pesce flauto
Il pesce flauto (“Fistularia commersoni”) è una delle nuove specie avvistate nel Mar Mediterraneo (foto da Uff. stampa CNR)

Le migrazioni ittiche

Il secondo studio fotografa l’evoluzione delle migrazioni di specie ittiche nel Mediterraneo. «Dimostra come il fenomeno abbia avuto un’importante accelerazione a partire dagli anni ’90 e come le invasioni più recenti siano capaci delle più rapide e spettacolari espansioni geografiche». Complessivamente, si parla di oltre 200 specie che, con la loro “invasione” hanno cambiato per sempre la storia del nostro mare. Le specie entrate attraverso il Canale di Suez sono le più rappresentate e, soprattutto, quelle più problematiche. Non bisogna, però, dimenticare quei pesci che sono stati portati nelle nostre acque tramite trasporti navali o dallo svuotamento degli acquari nel mare. 

Gli effetti sull’ambiente

Attraverso questa ricerca, quindi, è possibile comprendere gli effetti ambientali e socio-economici di queste “migrazioni ittiche”. «Alcune di queste specie costituiscono nuove risorse per la pesca, ben adattate a climi tropicali e già utilizzate nei settori più orientali del Mediterraneo», spiega il ricercatore del Cnr. «Allo stesso tempo, molti “invasori” provocano il deterioramento degli habitat naturali, riducendo drasticamente la biodiversità locale ed entrando in competizione con specie native, endemiche e più vulnerabili». Una colonizzazione avvenuta tanto rapidamente da aver già modificato sostanzialmente l’identità faunistica del Mediterraneo. «Ricostruire la storia del fenomeno permette di capire meglio la trasformazione in atto e fornisce un esempio emblematico di globalizzazione biotica negli ambienti marini dell’intero Pianeta».

 

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Articolo aggiornato in data 5 Ottobre 2022
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