Può capitare, a volte, di sottostimare un problema del nostro fisico. Magari imputando un abbassamento della vista a un po’ di stanchezza, quando in realtà potrebbe nascondere qualcosa di ben più grave. Tra le patologie che coinvolgono i nostri occhi la maculopatia è senza dubbio una delle malattie da non prendere alla leggera.
Con questo termine, ci spiega il Prof. Andrea Cusumano, chirurgo oculista e docente di oftalmologia presso l’Università Tor Vergata di Roma, si intende la «degenerazione maculare legata all’età. È una malattia degenerativa che rappresenta la prima causa di cecità al di sopra dei 55 anni d’età nei Paesi occidentali. In Italia ne soffrono circa 1 milione e 500mila persone».
Questa patologia «interessa la macula, che è la parte centrale ma più importante della retina che ci permette di vedere il mondo così come lo conosciamo, di poter leggere e di avere una visione molto distinta. Nel corso degli anni la patologia si può manifestare in due diverse forme. Una prima di tipo atrofico che ha un’evoluzione piuttosto lenta, ma che può portare anch’essa alla perdita completa della visione centrale tanto che il paziente non riconosce più nelle fasi terminali le persone e perde la capacità di poter leggere. Poi c’è una seconda forma, essudativa, determinata dalla formazione di alcuni neovasi al di sotto della retina. Talvolta questa forma può avere un’insorgenza particolarmente brusca e improvvisa portando a una visione distorta e una perdita visiva importantissima anche in pochi minuti».
Prof. Cusumano, quali sono i sintomi della maculopatia?
«I sintomi sono diversi a seconda della patologia. La forma atrofica ha un andamento progressivo. Il paziente comincia ad avere difficoltà nel leggere il giornale, vede i colori diversamente. All’inizio si può anche confondere con altre patologie come la cataratta. Se vede in modo distorto è più probabile che abbia una forma essudativa, mentre negli altri casi è probabilmente una forma atrofica che sta procedendo. Quindi diminuzione della visione, difficoltà della lettura, presenza di visione distorta sono tutti sintomi importanti per andare di corsa dal proprio medico di riferimento».
In quali modi si può intervenire per curare la maculopatia?
«Nella forma atrofica fino a qualche anno fa c’era poco da poter fare. Potevamo variare nel prevenire la malattia. Potevamo influenzare l’andamento della patologia prevenendola con l’uso di occhiali, visto che l’ultravioletto, l’esposizione ai raggi solari non protetti, è una delle cause di possibile aggravamento della maculopatia. Davamo degli integratori che in realtà permettono di avere un miglioramento del metabolismo retinico quindi un’aggiunta alla dieta ordinaria. Solamente negli ultimi anni sono state introdotte delle novità abbastanza importanti. Ad esempio l’utilizzo di un laser a nanosecondi, che non si associa a nessun danno termico e che emette la radiazione laser in frazioni di miliardesimi di secondo e che riesce a ripristinare un incremento della funzione visiva rendendo più permeabile una membrana che si chiama membrana di Bruch.
Questa separa la rete neurosensoriale dalla parte microvascolare. Quindi i metaboliti utili passano nuovamente in maniera agevolata verso la rete che deve essere nutrita mentre i prodotti di scarto a loro volta vanno a lasciare la struttura retinica dove sono stati prodotti e si sono accumulati in maniera “non utile”. Questo laser è stato validato da uno studio multicentrico randomizzato (Lead), si chiama 2RT, non ha effetti termici e può ridurre la progressione della malattia nella forma atrofica, in pazienti selezionati, fino a 4 volte. Diciamo che si tratta di una novità piuttosto importante. Basti pensare che nelle fasi terminali i pazienti, nella parte centrale, non hanno più nemmeno la percezione della luce».
E per la seconda forma di maculopatia?
«Per quanto riguarda invece la maculopatia essudativa, già da alcuni anni viene trattata mediante iniezione intra-vitreale di alcune molecole che si chiamano Anti-VEGF. Il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) è un fattore vasoproliferativo che viene liberato in maniera eccessiva sotto la retina, producendo la formazione di alcuni neovasi fragili della parete immatura che fanno perdere sia proteine, sia siero che globuli rossi in caso di vere e proprie micro emorragie e che portano a una diminuzione brusca della visione centrale.
Gli Anti-VEGF contrastano l’azione di queste molecole e permettono di mantenere il paziente con una visione piuttosto nitida se si interviene in maniera piuttosto rapida. Hanno soltanto il difetto di dover essere ripetute nel tempo che il paziente è legato molto spesso al mantenimento della sua visione in funzione dell’utilizzo e della reiterazione delle iniezioni intra-vitreali. Però si tratta di un prodotto che ha permesso di salvare centinaia di milioni di pazienti dalla cecità totale ed è la scoperta di un medico italiano: Napoleone Ferrara. L’ha scoperto studiando le modalità di poter rallentare lo sviluppo del cancro. Non ha mai avuto il premio Nobel, ma ha salvato milioni di persone dalla cecità».
Quali sono i tempi di recupero della malattia?
«Il paziente che ha una forma atrofica in realtà non ha un recupero, ma un rallentamento della malattia. Mentre un paziente nella forma essudativa, in caso di intervento tempestivo, può tornare a vedere molto bene anche nel giro di pochi giorni e mantenere una visione utile reiterando il protocollo terapeutico».
Esistono delle cure innovative?
«Per i pazienti affetti da maculopatia atrofica evoluta nella sua forma terminale, l’atrofia geografica (GA) esiste, oggi, la possibilità di partecipare a uno studio multicentrico europeo che si chiama “PRIMAvera”. Consiste nel posizionare chirurgicamente un piccolo microchip sotto la retina che viene poi stimolata attraverso un paio di occhiali speciali con microcamera che catturano le immagini dall’ambiente esterno.

Queste immagini sono inviate a un computer tascabile poco più grande di un pacchetto di sigarette che decodifica il segnale lo rinvia all’occhiale che ha la microcamera incorporata e lo proietta sul microchip che sta in fondo alla retina e che si sostituisce ai fotorecettori. Questo, quindi, invia un segnale alle cellule nervose della retina, le cellule bipolari e gangliari, fino alla corteccia visiva permettendo ai pazienti, che non avevano più nemmeno la percezione della luce, di rivedere numeri, lettere, parole complesse e leggere anche piccole frasi.
Un vero e proprio apparente miracolo. Non ci sono cavi, è wireless e l’università di Tor Vergata ha realizzato un consorzio con il presidio britannico che fa parte del gruppo San Giovanni dell’Addolorata di Roma per partecipare insieme a Francia, Germania, Inghilterra, Olanda e Spagna a questo grandissimo progetto europeo. Il progetto durerà 36 mesi e i 27 pazienti che sono stati finora trattati nel mondo hanno avuto tutti risultati straordinariamente promettenti. Per partecipare a questo studio si può scrivere alla mia mail [email protected]. Io sono il direttore scientifico dello studio, guarderò gli OCT dei pazienti, vedrò il visus, che loro mi dovranno indicare, attualmente presente per sapere se sono candidabili o meno al trattamento».
Al termine della sperimentazione quanto ci vorrà per la sua diffusione?
«Pochissimo. Se alla fine dei 3 anni dell’osservazione dei pazienti i risultati confermeranno quanto già emerso dallo studio di fattibilità nella fase iniziale, che è durata altri 3 anni ed è stata condotta tra Francia e Stati Uniti, potrebbe avere il marchio europeo e il dispositivo potrebbe diventare già reperibile commercialmente».
Quanto è importante intervenire prontamente?
«Importantissimo ed essenziale per quanto riguarda la forma essudativa. È importante anche per quanto riguarda la forma atrofica, anche se in quel caso ci sono più possibilità per poter reagire perché la patologia ha bisogno di più tempo per potersi instaurare. In ogni caso, prima cerchiamo di ridurre la progressione della forma atrofica meglio è. Invece, la tempestività per la maculopatia essudativa è assoluta. Questo perché se siamo rapidi il paziente può mantenere la visione che ha, fino a che ci saranno delle fasi alterne in cui il paziente viene monitorato con un OCT. Si tratta di un esame non invasivo della retina. Si monitora il paziente con un OCT una volta al mese e si inietta, nella prima fase mensilmente o ogni due mesi, con i prodotti che possono diminuire o impedire la presenza del VEGF».
Esistono forme precoci?
«Sì, ma tutte le patologie che interessano la macula in periodi precoci possono essere legate ad altre patologie. Ad esempio c’è la corioretinopatia sierosa centrale che è una malattia dello stress. Insorge nei giovani, specialmente al di sotto dei 40 anni, e interessa sempre la macula. Si tratta sempre di una maculopatia però di tipo diverso: è una patologia dello stress. Poi esistono anche le patologie diabetiche. Se un paziente è diabetico in età giovanile può avere una maculopatia che diventa maculopatia diabetica e anch’essa determina una riduzione importante della capacità visiva centrale. Inoltre, tante patologie eredofamiliari. Ad esempio, la distrofia dei coni e dei bastoncelli. Queste patologie possono coinvolgere i pazienti anche in giovanissima età».
Quali sono le cure in questi casi?
«Le cure sono molto innovative se si parla di maculopatie ereditarie. Esiste anche la terapia genica che in questo momento comincia a entrare nell’ambito delle terapie di routine. Per la maculopatia diabetica abbiamo anche in quel caso l’iniezione di Anti-VEGF perché anche qui si forma un edema maculare determinato dalla presenza dell’eccesso di VEGF».
Ci sono comportamenti da evitare per chi soffre di maculopatia?
«Sicuramente è necessario fare attenzione all’esposizione non protetta alla luce solare. Specialmente per le zone che sono più esposte per via del buco dell’ozono. Parliamo di emisfero australe, della California, un po’ meno per quanto riguarda l’Europa, l’ultravioletto rappresenta un rischio. Quindi se c’è un’esposizione grande, laddove manca l’epitelio pigmentato retinico o sono carenti dei pigmenti maculari quali la luteina e la zeoxantina, che proteggono dalle radiazioni UV, si può avere un’azione molto più deleteria. Quindi in primo luogo devono fare attenzione quelli che sono esposti a condizioni ambientali particolari. Come, ad esempio, i finanzieri che girano in montagna con gli sci per i nostri confini oppure chi lavora al mare o in campagna».
Chi è il Professor Andrea Cusumano
Il Prof. Dr. med. Andrea Cusumano, svolge attività di ricerca e insegnamento in Oftalmologia presso l’Università Tor Vergata di Roma. Attualmente, inoltre, riveste l’incarico di APL Professor di Oftalmologia presso la Rheinische Friederich-Wilhelms Universitat di Bonn, di Professore Associato Aggiunto al Weill Medical College of Cornell University di New York ed è presidente della Macula & Genoma Foundation.
Articolo aggiornato in data 17 Luglio 2023
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