La strada per rilanciare il sistema portuale italiano non può precludere la via della sostenibilità. Ne è convinto Pino Musolino, presidente dell’Autorità portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale. «O il porto del futuro è green – ci spiega in un’intervista – o non può essere definito porto affatto. È quasi una questione genetica».
Purtroppo, ricorda il presidente, l’Italia non tiene il passo di altri Paesi europei. «Diciamo che in rapporto alla sostenibilità quando si parla di green port, intesi come standard europei, siamo partiti tardi e siamo partiti da poco. E fino a tempi recentissimi in maniera anche abbastanza scoordinata. Nel senso che ogni porto, a seconda anche della sensibilità del proprio presidente e della propria organizzazione di vertice, si prestava più o meno a iniziative di carattere sostenibile che però, ricordo, non si limitano certo solo alle questioni green».

Sostenibilità portuale, qual è la situazione italiana?
«Il concetto di sostenibilità applicato e applicabile ai porti è molto più ampio di quello squisitamente relativo alle questioni ambientali o all’abbassamento del coefficiente di inquinamento. La sostenibilità è anche nel rapporto porto città. Nell’utilizzo delle strutture, delle aree, oppure del non consumo di suolo. È nel creare una mobilità urbana, o meglio una mobilità commerciale che non vada a cozzare con la vivibilità e la vita urbana. Per tutto questo, fino a tempi recenti, non c’è stato un gran coordinamento. Ultimamente c’è stato uno slancio abbastanza radicale di attività di innovazione. Ci sono, però, porti sicuramente più avanzati di noi in ambito europeo come Anversa, Rotterdam o Marsiglia dove da tempo c’è questo lavoro si fa da un po’. Noi italiani stiamo finalmente iniziando.
C’è una forte attenzione che si vede anche nei fondi che sono stati destinati ai porti, sia nell’ambito Recovery lato MIMS (Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili) che nella parte di green port finanziata dal MITE (Ministero della Transizione Ecologica). Tuttavia, va fatto molto di più e va fatto con la capacità e l’umiltà di andare a vedere i primi della classe cosa hanno realizzato. Non serve reinventare l’acqua calda. Basta guardare in giro per l’Europa e riprodurre da noi alcune best practice».
Può farci qualche esempio?
«Sotto il profilo ambientale ci sono tutti gli investimenti. Noi a Civitavecchia siamo partiti in quarta. Sull’idrogeno sia come fonte di stoccaggio di energia e sia, quando e se la tecnologia sarà disponibile, come fonte di energia autonoma. Inoltre, abbiamo già cambiato complessivamente il sistema di illuminazione portuale utilizzando lampadine e sistemi a bassissimo utilizzo energetico, a bassissimo costo e a lunghissima vita. Abbiamo cambiato una serie significativa di materiali e pensiamo di ricoprire tutte le superfici degli edifici pubblici all’interno del porto con i pannelli solari. Stiamo anche disegnando, e questo dovrà essere uno dei progetti che verranno finanziati dal MITE nell’ambito del Pnrr, una forma di rete smart.
Di cosa si tratta?
«Questa rete, insieme a un sistema algoritmico previsionale e un’intelligenza artificiale, calcolerà in tempo reale l’allocazione di energia necessaria per far funzionare il porto e riducendo dove può gli eccessi in maniera tale che non ci siano mai sprechi ma la perfetta e immediata allocazione di energia al momento opportuno nell’infrastruttura opportuna. Già questo permetterebbe una razionalizzazione di costi, delle energie e un utilizzo estremamente più efficiente dell’energia praticamente con un piccolo, grande accorgimento di natura ingegneristica dei processi.

Poi è chiaro che ci sono varie forme e non esiste un unico sistema. C’è un insieme disponibile di soluzioni e tecnologie esistenti e facilmente implementabili che messi insieme un po’ alla volta abbassano l’impatto dei porti. Come il disegno della viabilità all’interno dei porti, minimizzando i tempi morti, il momento nel quali i camion, quando sono pronti per le riconsegne in e out, non restano in coda con i motori accesi. Ci sono tantissime cose che si possono fare anche con piccoli accorgimenti. In questo modo un tassello alla volta rendere un porto sicuramente più green. Inoltre, siccome la stragrande maggioranza delle strutture italiane si trova vicino o letteralmente in seno alle città, è evidente che rendere più verdi i porti significa rendere migliore la qualità della vita delle nostre città portuali».
Altri progetti che riguardano il settore di sua competenza?
«C’è un’iniziativa in Italia a cui partecipiamo che in Spagna vede già 50 porti coinvolti. Raccogliamo, con la collaborazione della comunità di pescatori sia civitavecchiese che di Fiumicino, delle plastiche che poi vengono usate per realizzare dei filati che vengono poi utilizzati nel settore tessile. Una società spagnola, Ecoalf, con la quale collaboriamo, utilizza i filati per produrre di tutto: da vestiti uomo/donna alle scarpe fino alle maschere anti-Covid. Abbiamo recuperato già quasi mille tonnellate nell’arco di poco più di un anno e mezzo di sperimentazione.
Inoltre, stiamo cambiando complessivamente tutto il parco delle auto di servizio dell’Ente che diventeranno tutte elettriche. E una collaborazione con Enel ci permetterà di installare nelle nostre aree portuali 22 colonnine di ricarica».
Insomma, il rilancio dei porti deve necessariamente considerare l’innovazione e la sostenibilità.
«Assolutamente. L’alternativa sarebbe un’occasione sprecata come un errore sarebbe non capire che è quello che stanno facendo tutti i porti del mondo in questo momento».
Tra quanto si potranno vedere i primi risultati di un certo rilievo?
«Mi auguro che da qui a tre anni l’implementazione complessiva delle misure dia un significativo segno di accelerazione rispetto alla situazione attuale».
Articolo aggiornato in data 10 Novembre 2021
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