Preservare l’unico Pianeta che abbiamo e la natura che ci circonda. È questo l’obiettivo di Fare Verde Onlus, Associazione di Protezione Ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente, che da più di 30 anni si occupa della difesa di animali, mari foreste, fiumi e di istruire le generazioni future sulla necessità di difendere l’ambiente in cui viviamo.
L’associazione è presente in 15 regioni italiane, ma l’obiettivo è quello di arrivare a coprire tutto il territorio nazionale. «Abbiamo avuto una fortissima crescita – ci spiega Francesco Greco, presidente di Fare Verde – Stiamo crescendo notevolmente perché c’è una riscoperta o una scoperta dell’associazione Fare Verde e del suo impegno coerente e concreto sul territorio». Le prime iniziative dell’associazione risalgono al 1986, dopo l’incidente nucleare di Chernobyl. Da allora ad oggi, molte cose sono cambiate.
Qual è la situazione rispetto a 30 anni fa?
«È cambiata sicuramente l’attenzione per l’ambiente. Oggi sembra esserci una maggiore sensibilità, mentre 30 anni fa era complicato parlare di ambiente. Sembrava quasi di essere dei reietti, non c’era tanta attenzione. Era il tempo della tutela alla foca monaca. Fare Verde iniziò a muoversi parlando di piccoli gesti quotidiani. Di come poter tutelare l’ambiente partendo dal proprio essere e quindi iniziando a lavorare sulla persona. A fine anni ’90, portando avanti la nostra iniziativa più longeva che il prossimo anno farà 30 anni, “Il mare d’inverno”, trovammo su tutti i litorali italiani la presenza dei cotton fioc in plastica, in particolare modo concentrati al largo di Ostia. Decidemmo di lanciare una petizione popolare chiedendo al parlamento di modificare la legislazione vigente in Italia. Mettere fuorilegge i bastoncini cotonati in plastica e prevedere solamente la commercializzazione di quelli biodegradabili, così come già avveniva nel nord Europa. Grazie anche al sostegno dell’allora senatore Giuseppe Specchia, che sostenne pienamente la battaglia, dal 2001 in Italia si possono commercializzare solo bastoncini cotonati biodegradabili. È la dimostrazione di come il consumatore, il cittadino, quando crede in qualcosa può riuscire a determinare il cambiamento del sistema economico».
Come nasce l’iniziativa “Il mare d’inverno”?
«Partendo da una semplice osservazione dei rifiuti presenti sulla battigia italiana in un periodo particolare, l’inverno. L’iniziativa fatta in quel periodo aveva lo scopo di richiamare l’attenzione di cittadini e amministratori sul fatto che l’inquinamento è presente nei nostri mari nel corso dell’intero anno e non solo d’estate. In quel momento scattano le campagne, i comunicati e le iniziative per il mare pulito, ma nel resto dell’anno ci si dimentica. Già noi 10 anni fa parlavamo della forte presenza di plastica in mare, ma nessuno ci dava retta più di tanto. Poi all’improvviso è scoppiata la moda ed è partito il plastic free. Spesso siamo un po’ come le cassandre. Prevediamo, partendo dalle analisi del territorio, quello che potrà accadere in futuro».
Ad esempio?
«Siamo stati i primi in Italia a parlare di compost di qualità e quindi compostaggio domestico. Non ha senso andare a costruire mega impianti per trattare quel 45 percento di frazione umida dei nostri rifiuti. Iniziamo a farlo nelle nostre case laddove è possibile. Con impianti piccoli che possano andare a migliorare anche la qualità della concimazione dei nostri campi, riducendo il più possibile la chimica. Oggi un po’ tutti ne parlano, le amministrazioni comunali devono ancora fare molto. Quello che manca ancora è tutta l’impiantistica necessaria per il lavoro del compost, della frazione umida e di tutta quella che è la raccolta differenziata dei rifiuti. Spesso ci si limita solamente agli spot, alle belle parole, però si fa ben poco per realizzare le strutture necessarie per quell’economia circolare di cui tanto si parla».
Come sono organizzate le vostre operazioni?
«In genere sono iniziative di vari gruppi locali. Le tematiche sono quelle maggiormente presenti a livello locale perché uno degli slogan che rilanciamo è “Agire localmente e pensare globalmente”. Bisogna iniziare a rispondere a quelle che sono le peculiarità dei vari problemi locali. Non ci sono grandi emergenze internazionali che poi bisogna portare a livello locale. Bisogna fare il passo esattamente inverso partendo dalle identità che ci sono nei vari territori. I vari gruppi aprono la partecipazione a tutti i cittadini, alle associazioni, alle amministrazioni pubbliche presenti. Il miglior risultato della scorsa edizione del mare d’inverno è stato realizzato in Versilia, dal gruppo Fare Verde Versilia di Pietrasanta dove sulla battigia erano in circa 600, con una ventina di associazioni presenti e il pieno patrocinio del comune di Pietrasanta. Una festa di popolo in piazza a tutela della natura».

C’è anche chi è contrario alle attività a difesa del clima e dell’ambiente, definendole una perdita di tempo. Qual è la sua opinione?
«Sicuramente i problemi ambientali denunciati esistono. La foto emblematica del fiume Sarno nel dopo lockdown che si risporca è emblematica di un allarme ambiente che esiste. Forse spesso si parla troppo di esigenze. Forse è eccessivo dire bisogna cambiare dall’oggi al domani determinati comportamenti. Basti pensare all’assurdità di avere una maggiore contribuzione statale in favore di macchine potenti, anche se rispettose dell’ambiente, energetiche, anziché fare il contrario. Perché così facendo si va a colpire il cittadino meno economicamente fornito, quindi quello più fragile. Un’assurdità. Bisogna lavorare a cambiamenti e quindi a programmi di cambiamenti nel tempo incentivando l’adeguamento alle nuove esigenze di tutela di Madre Natura».
In che modo?
«Basterebbe partire dalla pubblica amministrazione. Se la PA iniziasse a utilizzare nei propri uffici l’illuminazione a led, a tenere sotto controllo il rinfrescamento o il riscaldamento, sarebbe un primo passo. Se già fosse fatto tutto questo, pensi che esempio sarebbe verso il privato. Innanzitutto si avrebbe un calmieramento dei prezzi, un abbattimento dei costi per poter fare efficientamento energetico per poter avere case qualitativamente adeguate. Si è tanto parlato di bonus 110 percento, ma alla fine se lo si va a leggere c’è molto fumo. Se, ad esempio, un’abitazione non ha un impianto di riscaldamento o rinfrescamento e lo vuole installare per rendere la casa qualitativamente più efficiente, non può usufruirne. È previsto solamente per la sostituzione di impianti. C’è qualcosa che non funziona e ovviamente questo ti aliena gran parte dei cittadini. Alle persone bisogna dare informazione, formazione e nei casi in cui errano anche la repressione. Questo vale anche per le aziende. Però dovrebbe cominciare la PA a comportarsi adeguatamente».
Non può essere tutto negativo.
«Pochi giorni fa ero in provincia di Bari, ad Altamura, dove è stato inaugurato un condominio. Un progetto che si chiama “Oro bianco”, che è stato realizzato come edificio a consumo quasi zero. Funziona solamente a energia elettrica prodotta da fotovoltaico e non ha allaccio al metano. Inoltre ha, tra gli altri aspetti positivi, il fatto di aver previsto sulla facciata principale per il verde, essenze del territorio quindi non richiedenti molta manutenzione dal punto di vista dell’innaffiamento e così via. Questo va a creare anche un microclima idoneo per rinfrescare le abitazioni. La particolarità è aver previsto che la manutenzione del verde avvenga a carico dei condomini, nei patti condominiali. Se tutto questo modo di intendere l’efficientamento energetico fosse fatto dalla PA nel momento in cui vengono rilasciate le autorizzazioni a edificare, o lo si facesse nelle zone industriali, pensi un po’ a cosa di bello andremmo a fare per il nostro territorio dove spesso abbiamo solamente delle distese di asfalto o di cemento armato».
Le idee quindi ci sono, ma confuse e senza tempistica?
«Si sbaglia la tempistica e spesso c’è l’assenza. Degli uffici tecnici e delle amministrazioni. Si rincorre il facile guadagno elettorale a brevissimo tempo, ma non c’è una visione di lungo periodo che è quello che in questa fase dovrebbe caratterizzare la nostra PA. Si è tanto parlato durante la chiusura totale di “andrà tutto bene, saremo migliori” e così via. Francamente, tutti questi buoni propositi non li ritrovo. Vedo, invece, gli stessi errori del passato con la pretesa che arriveranno tanti soldi e cercheremo di darci un’immagine un po’ più bella. Però tutto il resto non c’è. Ad esempio, non c’è nessun progetto che vada a parlare di efficientamento energetico nelle scuole. Abbiamo solamente dei banchi da Ufo Robot dove i bambini andranno a fare l’autoscontro».
Durante il lockdown, come è cambiata la vostra attività?
«Il lockdown ci ha bloccato quasi totalmente. Tutte le iniziative previste dai rimboschimenti alla creazione di nuove zone verdi, ad esempio a Cadenzano vicino Firenze, o vicino Orte. In altre parti d’Italia, attività di trekking sul territorio tese a conoscere e vivere in pieno l’ambiente non si sono potute fare. Si è in parte scoperta la comunicazione a distanza che, ovviamente, non va sostituire tutto il resto.

Guardando le visualizzazioni di quel periodo molti hanno fatto comunicazione, ma il seguito era veramente scarso. La gente non voleva stare vicino a un video a guardare notizie, voleva essere tranquillizzata. Infatti, appena se ne è avuta la possibilità si è tornati ad avere un minimo di incontro dal vivo. Nel rispetto delle norme anti-Covid, ovviamente, con una legislazione che muta da territorio a territorio. Le persone, però volevano incontrarsi e scambiarsi idee direttamente. Il Covid ci ha rallentato moltissimo. In qualche zona in provincia di Frosinone abbiamo fornito mascherine alle pubbliche amministrazioni, partecipando ai bandi della Regione Lazio e acquistando noi direttamente dalle farmacie le mascherine. A Trieste sono state regalate delle mascherine da una farmacia, che abbiamo distribuito poi ai centri anziani e alle case di riposo del territorio. È stato un momento di riflessione. Momento in cui si è cercato di riflettere su come poter andare a reinterpretare il nostro ruolo nel post Covid, con la speranza che non si ripresenti più».
Ora le mascherine rischiano di diventare dei nuovi rifiuti dispersi nell’ambiente.
«A questo proposito, abbiamo lanciato immediatamente una campagna di sensibilizzazione, a fine aprile, che è stata ripresa da varie testate nazionali. In particolare, anche con alcune emittenti radiofoniche del sud Lazio. La campagna era tesa a sensibilizzare sul fatto di non abbandonare le mascherine come se nulla fosse nell’ambiente. Perché ricevevamo segnalazioni un po’ ovunque. La gente le abbandonava come un qualsiasi prodotto usa e getta. Senza pensare anche alla possibilità di ulteriore aggravio. Un danno all’ambiente e alla salute degli altri componenti della comunità. Sollecitammo il ministero dell’Ambiente a porsi il problema di cosa fare, di come sensibilizzare i cittadini ed eventualmente di come immettere sul mercato materiale che fosse riutilizzabile o trattabile. A distanza di un due mesi vediamo sui mezzi di comunicazione la campagna tesa a sensibilizzare sul non abbandono nella natura delle mascherine e dei guanti. Ben venga. Con un po’ di ritardo, ma anche le istituzioni ogni tanto si svegliano».
Come vi state riorganizzando?
«Non abbiamo progetti particolari. Abbiamo ripreso un po’ le attività di Fare Verde sul territorio. Sono stato tra la provincia di Messina e la Calabria dove abbiamo parlato di turismo sostenibile e sulle modalità di come andare a sviluppare queste tematiche. Su come andare, ad esempio, a valorizzare i vivai che un tempo erano tenuti dal Corpo forestale dello Stato e oggi, spesso, sono in stato di abbandono ma costituiscono ancora un’importante memoria eco-botanica immensa nonché importantissima. Lo abbiamo visto in Sicilia dove abbiamo parlato anche dell’iniziativa “Il mare d’inverno” in prospettiva della trentesima edizione.
Altre iniziative di Fare Verde?
Abbiamo riscoperto a Reggio Calabria l’Aspromonte nella sua varietà vegetazionale oltre, purtroppo, all’aspetto negativo di trovare a ogni curva centinaia di metri di rifiuti abbandonati. C’è un’emergenza nella raccolta di rifiuti a Reggio Calabria, ma non se ne legge da nessuna parte. C’è un’amministrazione comunale che va al rinnovo che dovrebbe chiedere scusa ai cittadini per i disagi creati. Di tutto questo non se ne parla. A Catanzaro, invece, abbiamo parlato del possibile futuro dei comuni dell’entroterra che si stanno spopolando. Vuoi per l’emigrazione verso il nord Italia o il nord Europa, ma anche verso le città della costa. Quindi si è discusso di come preservare la memoria storica di quei comuni e cosa un’associazione ambientalista, come Fare Verde, potesse fare. La gente è disposta a impegnarsi se opportunamente sollecitata. C’è di nuovo una riscoperta di partecipazione diretta dal basso».
Tutto questo fa ben sperare per il futuro.
«Penso di sì. Noi lanceremo un messaggio forte nei primi di settembre dalle sorgenti del fiume Piave. I volontari di Fare Verde del Veneto e del Friuli Venezia Giulia si incontreranno in una località vicino Sappada per conoscersi e scambiarsi opinioni. Si parlerà di tutela dei fiumi, della montagna e dei boschi. Siamo in piena zona della sciagura Vaia che, in pochi secondi, con la sua potenza buttò giù ettari di bosco. Ci ricordò in quel caso l’impotenza dell’uomo nei confronti delle leggi di madre Natura. Vogliamo ripartire da un senso di conoscenza del territorio per cercare di fare meno male possibile a madre Natura».
C’è qualche zona più virtuosa verso la difesa dell’ambiente in Italia?
«Direi più che altro a macchia di leopardo. Ci sono zone con più infrastrutture dedicate alla lavorazione dei rifiuti e altre meno, ma spesso sono confinanti una con l’altra. Situazione grave è la Ciociaria che sembra diventata la discarica della città di Roma. C’è una situazione allucinante a Castelliri, dove Fare Verde ha denunciato il ritrovamento di una discarica contenente tutti i più nefasti veleni possibili e immaginabili tombati con il cemento. Su questa discarica si sono costruite case popolari e la gente sta morendo di tumore. Questi problemi non ci sono solo nella terra dei fuochi. Li abbiamo trovati anche nella ridente Grado. Durante una campagna del mare d’inverno, trovammo dei bambini che giocavano con pezzi di eternit.
Più o meno a macchia di leopardo le situazioni sono tante. Sta facendo un ottimo lavoro la commissione presieduta dal generale dei Carabinieri, Vadalà, per la bonifica delle discariche messe lì negli anni, ma certamente c’è tanto da fare. Ci dovrebbero essere delle regole un po’ più uniformi. Partendo da un obbligo».
Quale?
«Avviare il vuoto a rendere degli imballaggi. In Germania lo fanno dal 1992 prevedendo due tipologie di imballaggi immesse sul mercato. In Italia abbiamo 22 tipologie di imballaggi plastici che rendono molto difficile se non impossibile la lavorazione della frazione plastica dei rifiuti. C’è molto da fare».
Potendo indicare un’iniziativa su cui puntare nel breve periodo, quale sarebbe?
«Nell’immediato, fattibile e senza tanti esborsi direi l’efficientamento energetico della PA. In molte scuole, penso a quelle a indirizzo elettrotecnico, si potrebbero “utilizzare” gli studenti stessi che hanno delle ore dedicate ai periodi di alternanza scuola/lavoro per progettare l’efficientamento energetico delle loro scuole. Perché dare questa incombenza all’esterno? Mettiamo gli studenti a migliorare le loro stesse scuole. I ragazzi ne sarebbero soddisfatti e orgogliosi. Quando sono stati chiamati a pensare a come ridurre la plastica nei loro istituti sono stati i primi ad attivarsi, spesso osteggiati dai vari apparati amministrativi o decisionali delle scuole».
A proposito di scuole, avete in programma delle iniziative particolari?
«Al momento siamo in attesa di capire da settembre come ci si dovrà muovere. Il Covid ha interrotto un’esperienza di campagna di educazione ambientale che era in corso nelle scuole primarie di Civitavecchia e che stavamo promuovendo anche in altre parti. Si era appena conclusa un’altra campagna in tutte le scuole del comune di Sora, in provincia di Frosinone. Siamo in attesa di capire come ci si potrà muovere e come andare ad interagire con le scuole. Si potrà, forse, fare una parte in classe e una fuori con delle visite a impianti di selezione dei rifiuti perché occorre trovare le giuste emozioni quando si parla di certi argomenti, sennò le parole lasciano il senso che trovano. In questo momento, però, si vive alla giornata».
Cosa si può dire per far capire quanto è importante rispettare l’ambiente?
«Dobbiamo ricordare a tutti il rispetto di Madre Natura. Nessuno, coscientemente, farebbe del male alla propria madre. Noi siamo i figli della natura, i figli di Madre Natura con le sue regole e dobbiamo rispettarle in pieno».
Articolo aggiornato in data 12 Ottobre 2022
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