La casa dello chef Michele De Blasio è un ristorante vista mare da sogno. Lì nel cuore della Costiera Amalfitana. La struttura si chiama Giardini del Fuenti. Lo chef Michele De Blasio è nato a Sarno, in provincia di Salerno, e da poco è tornato in Italia, dopo aver lavorato a lungo all’estero. Tra le ultime esperienze quella al Ritz Carlton di Hong Kong.
Infinito il curriculum vitae dello chef Michele De Blasio che si è formato al fianco di Riccardo Camanini e Alfonso Iaccarino, ma anche dei fratelli Pourcel, di Alain Ducasse, di Pierre Gagnaire, di Juan Mari Arzak e di Rasmus Kofoed. La passione per il cibo l’ha fatto arrivare in Spagna, così come in Inghilterra, in Giappone, in Danimarca e negli Stati Uniti. Giusto per citare qualche bandiera piantata in giro per il mondo.

Un po’ come Messi

Abbiamo contatto lo chef Michele De Blasio per un’intervista dopo aver provato in due occasioni le sue creazioni. Belle da vedere, da mangiare. E, perché no, da instagrammare. Abbiamo visto dal vivo la passione e l’armonia che riesce a trasmettere alla sua brigata. Un piatto – dal ristorante vista mare dello chef Michele De Blasio – non esce se non tende alla perfezione. E’ più o meno come una punizione di Lionel Messi: sai che la tirerà là, che la barriera salterà e che il portiere non ci arriverà. Alla fine ti puoi solo togliere il cappello.
Anche perché il lavoro degli chef è un po’ come quello dei calciatori: in una manciata d’ore ti giochi tutto, a prescindere da chi sei, da quanto hai studiato e da quanto hai girato il mondo. In primis ti giochi la credibilità, ancora di più se la tua cucina è a vista e i clienti ti puntano gli occhi addosso.
Chef Michele De Blasio, sa cosa ci ha colpito di più oltre alla bontà dei suoi piatti? L’armonia che riesce a trasmettere ai suoi collaboratori…
«Beh, mi fa piaciare. Mi ispiro a mio padre che lavorava nel campo edile, nelle costruzioni. Si rivolgeva agli operai dicendo “per favore” all’inizio di ogni frase. E’ una caratteristica che mi ha tramandato. Se una persona è felice lavora meglio e anche il piatto risponde diversamente. Sa, noi stiamo in cucina 20 ore al giorno: l’ambiente per me deve essere per forza positivo e familiare».
Da dove nasce la scelta di sposare il progetto del Giardini del Fuenti?
«Dal fatto che è nato mio figlio. Ero rientrato da Hong Kong e stavo per ripartire. Ma poi è arrivata dal chiamata per prendere per mano il ristorante del Giardini del Fuenti e non ho potuto rifiutare. Il progetto mi è piaciuto fin dall’inizio».
La proposta che sta alla base del menù di questa estate?
«La mia filosofia si basa principalmente sul sapore, sulla ricerca del prodotto e sul rispetto che va dato al prodotto. Prima era di moda la cucina fusion, poi quella molecolare, adesso vanno le fermentazioni. Però resta sempre la cucina tradizionale, che poi è quella fa la differenza».

Cioè?
«Sullo spaghetto allo scoglio, che tutti conoscono, ci mettiamo cultura e tecnica. Il mio pensiero va sempre all’acidità e poi mi piace giocare con le spezie, il pepe in primis».
Quale è il piatto più richiesto nel suo ristorante?
«Gli spaghetti al riccio».
E quello a cui è più affezionato?
«La maritata di mare. Una minestra fatta con fondo di acqua di mare e con i calamari. E’ molto difficile da fare, tecnicamente parlando».
Cosa le ha lasciato l’esperienza ad Hong Kong?
«Tantissimo. Mi sono integrato nella cultura cinese, ho provato e riprovato la loro cucina. E poi mi è servita per capire che all’estero chi va in un ristorante italiano vuole provare la vera tradizione made in Italy. La tagliatella fatta a mano, così come il ragù, quello vero»
Ha sempre voluto fare la chef? Fin da piccolo?
«Ho cominciato a 9 anni nella pasticceria di mio cugino. Lì ho imparato l’approccio, il saper calibrate gli ingredienti. La passione mi ha fatto crescere e spinto lontano».
Come ha vissuto il periodo di lockdown?
«In maniera diversa da tutti i colleghi cuochi. Sono stato lontano dai fornelli e ho studiato seguendo un master sul food and beverage alla Bocconi e un corso di Harward. Il nostro è un lavoro dove devi studiare, devi essere aggiornato. Chiaramente fare lo chef non è utile come fare il medico, ma devi sapere cosa c’è di nuovo nel mondo della ristorazione a 360°, anche dal punto di vista manageriale».
Il mondo della ristorazione è cambiato dopo il Covid?
«E’ un mondo che va avanti. In questo mestiere non ci vuole la patente o una laurea. E’ aperto a tutti. Anche a chi non l’ha mai fatto. Alcuni cuochi “amatoriali” rendono meglio di cuochi che hanno studiato anni e anni. Quello che conta è lo stato d’animo, credere in quello che ti piace»
E a lei cosa piace?
«Mi piace regalare un’emozione a chi viene a mangiare da me. Ed è molto difficile fargliela provare 3 o 4 volte di seguito, magari a distanza di settimane o mesi. Per questo motivo al Giardini del Fuenti abbiamo molti fuori carta per rendere l’esperienza sempre diversa e unica».

Un esempio?
«Uno degli ultimi piatti fuori carta è stato un plin con robiola di capra che si produce sui Monti Lattari, cannolicchio e limone su guazzetto di mare con crudo di gambero rosso».
Articolo aggiornato in data 3 Giugno 2021
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