Un’importante scoperta archeologica è stata portata alla luce dai Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Udine, nell’ambito del periodico controllo dei siti archeologici sommersi svolto costantemente sul territorio nazionale. Si tratta di una nave romana mai censita prima.
La scoperta è avvenuta nel corso di un controllo organizzato, nel territorio di competenza dei Carabinieri di Udine. Si tratta del monitoraggio di un vasto specchio d’acqua compreso tra Grado (GO) e le Foci del Timavo, a bordo della Motovedetta in forza alla Stazione di Grado ed in collaborazione con il Centro Subacquei di Genova, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia di Trieste e il Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine.
Grado, la scoperta del sito archeologico sommerso
L’attività è stata particolarmente fruttuosa tanto che – a fronte del monitoraggio del sito noto come Grado 2, dalla denominazione convenzionalmente assegnata all’imbarcazione naufragata nel III secolo a.C., quindi in epoca precedente alla fondazione di Aquileia e rinvenuta fortunosamente nel 2000 a circa 7 miglia di fronte a Grado e a 19 metri di profondità, su una rotta commerciale che collegava la regione al resto d’Italia e al mondo ellenistico – in corrispondenza dell’isola gradese di Pampagnola sono stati rinvenuti i resti della nave romana.
Il relitto, che si trova ad una profondità di circa 5 metri, risulta per la maggior parte interrato. Tuttavia, in base alle prime osservazioni, gli esperti hanno potuto accertare la tecnica di realizzazione, detta a “mortasa–tenoni”. La porzione di scafo oggi visibile ha una lunghezza pari a mt. 12,20, misurata dalla “gengiva” del canale ma, considerata la conformazione del legno esposto potrebbe risultare di estensione almeno doppia e larghezza stimata non inferiore a mt. 8. Si notano chiaramente le ordinate della larghezza di circa 15 cm e le tavole di fasciame di almeno 6 cm.
Si tratta indubbiamente di «una scoperta di eccezionale importanza storica per l’area dell’alto Adriatico», come hanno dichiarato gli esperti archeo-subacquei della SABAP FVG e dell’Ateneo udinese dopo un’attenta preliminare verifica effettuata personalmente nel punto indicato loro dai Carabinieri Subacquei di Genova, che avevano notato la sagoma del relitto richiamando l’attenzione degli specialisti. L’attività è proseguita presso il Canale delle Mee di Grado, lo storico ingresso al porto fluviale di Aquileia, con il rinvenimento di due anfore acefale tipo “Lamboglia 2” aventi misure 60 x 35 cm, risalenti al I secolo a.C., nonché di un collo di brocca ed uno di anfora risalenti al II-III secolo d.C.
Altri ritrovamenti
Il monitoraggio è quindi proseguito in corrispondenza dell’area del canale Locovaz e dei tre rami della foce del fiume Timavo. Una zona in corrispondenza della quale in epoca romana era stata edificata una importante villa. Questa era intesa come centro di produzione agricolo e ittico, con annesse thermae e assolveva anche alla funzione di statio lungo la strada che collegava Aquileia a Tergeste e alla Dalmatia, come citato da Plinio il Vecchio e riportato sulla Tavola Peutingeriana. Il complesso sorgeva in un ambiente lagunare, ora in buona parte bonificato. Qui, recentemente, gli esperti hanno effettuato un’altra scoperta archeologica: il rinvenimento di un’anfora risalente al I secolo a.C. di produzione alto-adriatica. Il reperto è riaffiorato molto probabilmente a seguito dell’erosione spondale che caratterizza quei tratti di riva. Inoltre, è compatibile con analoghi esemplari rinvenuti a partire dagli anni ’70 del secolo scorso nella medesima area denominata Lacus Timavi di Duino-Aurisina.
Rinvenuto anche un bossolo di proiettile – privo degli elementi di carica – da 90 mm risalente alla Seconda Guerra Mondiale. Quasi sicuramente è da ricondurre alle batterie contraeree poste a difesa del vicino e importantissimo complesso industriale monfalconese dei Cantieri Riuniti dell’Alto Adriatico. Inoltre, le squadre impegnate nel monitoraggio, hanno recuperato anche vari laterizi risalenti al ‘800-‘900, anche se l’intera area, in quanto caratterizzata dalla fuoriuscita di acqua corrente dolce, rispondeva alle esigenze cultuali degli antichi (vedasi il vicino Mitreo) come delle comunità cristiane fino a tutto l’alto medioevo (non a caso la attigua chiesa di San Giovanni risalente a quel periodo) e pertanto vi sorgevano edifici con funzione religiosa. In ultimo, i recuperi di un puntale di anfora “adriatica” e frammenti vari riconducibili ad epoca classica.
Nuovi studi sui ritrovamenti
La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia ha ricevuto i manufatti archeologici recuperati per la conseguente attività di desalinizzazione, pulizia, catalogazione e restauro. Il relitto sarà oggetto di future indagini archeologiche da parte della citata Soprintendenza in collaborazione l’Università di Udine finalizzate alla sua messa in sicurezza e tutela, nonché all’approfondimento storico della funzione di Grado quale Hub marittimo di Aquileia, all’epoca la quarta città italiana dell’Impero contando 100.000 abitanti e capoluogo della X Regio Venetia et Histria, sia in relazione alla locale navigazione endo ed eso lagunare che ai grandi traffici commerciali che dai confini settentrionali del Norico e della Pannonia giungevano al mare per svilupparsi in tutto il Mediterraneo e viceversa, in analogia a quanto Ostia rappresentava per l’Antica Roma.
L’attività descritta consente all’Arma dei Carabinieri di proteggere i siti archeologici sommersi che sono sottoposti al naturale stress ambientale, alla costante minaccia della pesca sregolata e all’attività subacquea mirata all’impossessamento illecito del patrimonio culturale sommerso e, come nel caso specifico, di scoprire l’esistenza di manufatti di epoche diverse attraverso i quali approfondire le conoscenze storiche dell’area ricompresa tra Grado e le Foci del Timavo.
Articolo aggiornato in data 30 Luglio 2022
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