Buchette, cosa sono questi piccoli sportelli che si trovano in Toscana?

Si tratta di un’antica tradizione delle famiglie nobili di Firenze, utilizzata anche come strumento di distanziamento sociale. E la sua unicità e particolarità ha avuto tanto successo da diventare una moda oltreoceano, come ci ha spiegato Matteo Faglia, presidente dell’Associazione che si occupa di censire, studiare e preservare questi piccoli sportelli.

La necessità, si sa, aguzza l’ingegno anche in tempo di Covid. Così a Firenze da qualche tempo è stata riproposta un’antica tradizione: quella delle buchette del vino. Ma di cosa si tratta nello specifico? Chiamate anche sportelli, sono delle piccole finestrelle sulle mura dei palazzi del centro storico utilizzate, anticamente, per la vendita del vino da parte delle famiglie nobili di Firenze.

Diffuse in tutta la Toscana sin dal 1500, sono tornate di moda oggi in tempo di distanziamento sociale. Per cercare di capire meglio la storia di questi sportelli, abbiamo intervistato Matteo Faglia, presidente dell’Associazione buchette del vino. L’associazione, ci spiega, «è nata nel 2015 con l’idea di studiare, salvaguardare e far conoscere queste particolari strutture architettoniche». Proprio per questo motivo, aggiunge, è stato avviato un censimento, tutt’ora in corso, per mappare la loro presenza sul territorio. Censimento che finora ha portato alla scoperta di circa 180 buchette a Firenze e di un altro centinaio nel resto della Toscana. 

buchette

Un po’ di storia

Riguardo alle origini di questi sportelli, che molti credono nati al tempo della peste, lo studioso ci tiene a fare una precisazione. «La risonanza che ha avuto la storia delle buchette per il commercio senza contatto fisico, ha portato molti a dichiarare che era per questa ragione. In realtà sono nate ben prima, a metà del 1500». Già nel 1300, racconta Faglia, le nobili famiglie fiorentine avevano ricevuto il permesso di vendere le eccedenze della propria produzione vinicola alla popolazione direttamente nel loro palazzo.

Dopo un certo periodo, questa attività ha richiesto una maggior formalizzazione e, dai cortili dei palazzi, si è passati a costruire delle piccole aperture sui portoni di legno. In seguito, visto il successo dell’iniziativa, verso il 1500 si iniziarono a bucare le mura delle facciate. La maggior parte delle volte, infatti, queste aperture si trovano accanto al portone principale, dove veniva ricavata una piccola cantina con dentro una botte.

Principali caratteristiche e diffusione

Le persone che volevano acquistare il vino, si recavano a queste buchette con il fiasco da riempire. Nonostante siano tutte diverse, «sono allo stesso tempo molto simili come dimensioni: circa 20×30 ossia la grandezza di un fiasco. Una misura grande abbastanza per il commercio, ma per evitare qualsiasi intrusione». Inoltre, ricorda Faglia, si trattava di un commercio alternativo a quello delle osterie, perché «ogni famiglia poteva vendere solo il proprio vino. Il successo dell’iniziativa si deve a Cosimo I de Medici che, tra le concessioni fatte ai nobili, aveva dato quella di poter vendere il vino senza pagare il dazio.

Matteo Faglia
Il presidente dell’Associazione buchette del vino, Matteo Faglia

A differenza di tutte le altre merci che arrivavano da fuori città. C’era, quindi, una garanzia di maggiore qualità e di un rapporto qualità/prezzo migliore. Perché non dovendo pagare le tasse sul vino, le famiglie potevano venderlo a un prezzo più vantaggioso». In seguito, anche altre famiglie adottarono questo espediente. Infatti, pur non essendo nobili, possedevano anch’esse un piccolo podere dove producevano vino. Si è trattato, aggiunge, di «un’invenzione di marketing strepitosa. Dal produttore al consumatore». 

Misura di distanziamento sociale

Nate, quindi, come strumento per il commercio, l’utilizzo delle buchette si rivelò utile anche in occasione di un’epidemia come quella della peste nera. Successivamente, infatti, questi finestrini «sono stati utili durante gli anni della peste per permettere il passaggio di vino e di altri cibi senza contatto. Con alcuni accorgimenti. Come quello di far mettere le monete dentro a una ciotola che veniva riempita d’aceto per disinfettarle».

La situazione oggi: dalla Toscana agli Usa

Le ultime tracce di buchette ancora utilizzate risalgono alla metà del 1900, quando ancora qualcuno si serviva di questo metodo per acquistare il vino. In seguito sono cadute in disuso anche per via del cambiamento dei recipienti: dal fiasco alla bottiglia. Tuttavia, qualche esercizio commerciale, subito dopo il lockdown, ha deciso di riaprirle. Attualmente ricorda Faglia, «su 150 presenti a Firenze, solo 6 sono state riabilitate. Per un motivo semplice. Quelle che corrispondono ancora a degli esercizi ancora attivi come bar o ristoranti sono poche. Molte corrispondono a palazzi, appartamenti o a luoghi non pubblici. La tendenza, per chi può restaurarne una, è di riaprirla come strumento di promozione del locale. È diventata un po’ una moda». 

buchetta del vino sulla facciata di Palazzo Bartolini a Firenze
Una buchetta del vino sulla facciata di Palazzo Bartolini Salimbeni Vivai a Firenze (foto da Facebook @buchettedelvino)

Quanto successo, però, ha attirato la curiosità di alcuni media stranieri che hanno dato risalto al fenomeno. Il risultato è stato la nascita di finte buchette del vino negli Stati Uniti, dove alcuni locali usano questo espediente come promozione spiegando di aver adottato questa antica usanza italiana. Tuttavia, ci tiene a precisare il presidente, anche se «dal punto di vista mediatico è sicuramente un fatto curioso e interessante, noi come associazione non ci auspichiamo la riapertura delle buchette. È una cosa ormai fuori dalla realtà. Siamo contenti, però, se queste vengono restaurate e conservate». Proprio per questo, conclude, i componenti dell’associazione stanno ultimando un libro che racconti le origini e la storia ed è in programma, quando i tempi lo permetteranno, una mostra su questo particolare fenomeno.

Articolo aggiornato in data 14 Giugno 2022
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