Ulivi secolari: allarme per la salvaguardia degli alberi storici

Un patrimonio storico-ambientale da proteggere e tutelare, messo a rischio, come ricordato da Coldiretti e Unaprol, dai cambiamenti climatici e dalle conseguenze del conflitto in Ucraina. Un allarme lanciato in occasione della raccolta dal plurisecolare Albero Bello, che vede il ritorno dell’olio dell’Imperatore Adriano

Nella salvaguardia nel nostro patrimonio ambientale rientrano a pieno titolo gli ulivi secolari. In Italia, questi alberi sono circa 30 milioni, abbandonati per via del cambiamento climatico e dell’aumento dei costi. Una problematica che mette a serio rischio la sopravvivenza di quel patrimonio di biodiversità e storia rappresentato dagli alberi secolari. 

A lanciare l’allarme sono Coldiretti e Unaprol – Consorzio Olivicolo Italiano. È avvenuto in occasione della raccolta dall’ulivo plurisecolare Albero Bello di Villa Adriana a Tivoli. Questo ha dato vita all’olio dell’imperatore Adriano, a conferma di un legame antichissimo dell’Italia con uno degli alimenti principali della dieta mediterranea.

Ulivi secolari, dall’antica Roma ai giorni nostri

È stata proprio la civiltà romana a contribuire, nell’antichità, alla diffusione dell’ulivo perfezionando, allo stesso tempo, le relative tecniche di coltivazione e di estrazione. Così quest’albero si è diffuso nel territorio del nostro Paese con alcuni esemplari che hanno attraversato le epoche. Ad oggi, infatti, gli ulivi secolari rappresentano ben il 20 per cento del totale italiano. E come ricordano Coldiretti e Unaprol, «l’olio divenne una delle principali ricchezze dei romani che conoscevano talmente bene il prodotto da mettere a punto tecniche e strumenti rimasti quasi invariati fino al XIX secolo». 

Inoltre, furono i primi a classificare gli oli in base alle loro caratteristiche organolettiche. Marco Porzio Catone (234-149 a.C.) e Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) scrissero i primi “disciplinari di produzione” olivicoli, delineando i fondamenti teorici e tecnici che ancora oggi sono alla base delle produzioni di oli d’oliva di qualità con una gamma inimitabile di sentori, profumi, sfumature sensoriali e gradi di intensità.

Un prodotto di qualità

Questa cultura conservata nei secoli, sottolineano Coldiretti e Unaprol, «ha portato oggi l’Italia ad essere la regina dei riconoscimenti di qualità in Europa con il suo patrimonio di 42 Dop e 7 Igp olivicole, pari al 40 per cento delle certificazioni comunitarie, mentre Spagna e Grecia inseguono il nostro Paese a distanza con appena 29 riconoscimenti. 

Più della metà della produzione nazionale di olii Dop e Igp viene esportata – spiegano Coldiretti e Unaprol – con il valore degli scambi cresciuto del + 55 per cento negli ultimi cinque anni, passando da 40 a 62 milioni di euro.

I danni e le cause

Tuttavia 30 milioni di ulivi secolari in Italia risultano in stato di abbandono. Tra le cause, spiegano Coldiretti e Unaprol, ci sono gli effetti della guerra in Ucraina e delle tensioni internazionali che rendono difficili gli investimenti in olivicoltura. «Con l’esplosione dei costi aumentati anche del 200 per cento per le aziende olivicole quasi 1 su 10 (9 per cento) lavora in perdita ed è a rischio di chiusura, secondo dati Crea».

ulivi secolari, la raccolta a villa Adriana
Coldiretti e Unaprol iniziano la raccolta dell’ulivo plurisecolare a Villa Adriana (Tivoli), per produrre l’olio dell’imperatore (foto Uff. stampa Coldiretti)

A pesare, in particolare, i rincari diretti e indiretti determinati dall’energia. Questi vanno dal +170 per cento dei concimi al +129 per cento per il gasolio nelle campagne, mentre il vetro costa oltre il 30 per cento in più rispetto allo scorso anno. Si registra anche un incremento del 35 per cento per le etichette, del 45 per cento per il cartone, del 60 per cento per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70 per cento per la plastica. Infine, secondo l’analisi Coldiretti e Unaprol, olivicoltori e frantoiani sono costretti a fronteggiare anche l’incremento dell’elettricità, i cui costi sono quintuplicati.

Le conseguenze sulla produzione di olio

Per la stagione olivicola appena iniziata, le prime stime parlano di un crollo della produzione nazionale di olive. Questo, per le famiglie italiane, significa dire addio a quasi 1 bottiglia su 3 di olio extravergine Made in Italy. 

A pesare sulla produzione nazionale, con un calo del 30 per cento, è stata la siccità (mai così grave da 70 anni) che ha messo in stress idrico gli alberi (tanto gli ulivi secolari che le nuove piante) danneggiando prima la fioritura e poi le gemme. Questo, soprattutto dove non si è stato possibile intervenire con irrigazioni di soccorso. Diverse aziende, poi, hanno deciso di non intervenire per gli elevati costi di carburante, elettricità, service e prodotti di supporto alla nutrizione dei terreni. Salva la qualità, con l’Italia che può vantare il più ricco patrimonio di varietà di olii a livello mondiale.

Possibili soluzioni e interventi

Come spiega Nicola Di Noia, responsabile olio di Coldiretti, l’associazione e Unaprol «per provare ad invertire la rotta, sono impegnate nel recupero e nella manutenzione degli uliveti di alcuni tra i più importanti parchi archeologici italiani e nel tentativo di salvare la piana degli ulivi monumentali dal batterio della Xylella che sta distruggendo l’olivicoltura pugliese». 

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Attraverso un progetto del Crea/Ofa partendo «dallo studio di piante plurisecolari come l’Albero Bello di Villa Adriana, si potrà arrivare ad individuare caratteri utili per la resilienza al cambiamento climatico, per il comportamento produttivo, per la versatilità nei confronti delle esigenze di intensificazione sostenibile della coltivazione dell’ulivo e per migliorare le caratteristiche salutistiche dei prodotti».

Preservare gli ulivi secolari per proteggere il clima

Infine, David Granieri, presidente di Unaprol, ricorda l’importanza non solo storica degli ulivi secolari. Questi alberi «sono custodi non solo di storia ma anche, probabilmente, di elementi che potrebbero aiutarci ad affrontare nel migliore dei modi il cambiamento climatico che stiamo vivendo, per questo motivo è assolutamente necessario lavorare per recuperare e rendere produttive il maggior numero possibile di queste piante» 

L’obiettivo, conclude, «non è solo arricchire il nostro bagaglio di conoscenze, ma anche ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni di olio straniero e quindi, con adeguati investimenti, rilanciare la produzione di extravergine Made in Italy».

Articolo aggiornato in data 10 Ottobre 2022
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