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Da qui al 2027 il mondo del lavoro si prepara a un vero e proprio esodo generazionale. Infatti, tra il 2023 e il 2027 il mercato italiano avrà bisogno di circa 3,8 milioni di addetti. Di questi, 2,7 milioni (pari al 71,7 per cento del totale) in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione a cui aggiungere un milione di nuovi ingressi (il 28,3 per cento del totale) legati alla crescita economica prevista in questo quinquennio.
Si tratta di stime elaborate dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre che ha elaborato i dati del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal. Alla luce di questi dati, secondo la legislazione vigente, nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età.
Esodo generazionale, i settori interessati
Il rapporto della Cgia analizza in dettaglio questo esodo generazionale esaminando quali settori riguarderà. Dei 2,7 milioni di addetti totali che nei prossimi anni andranno in pensione, la metà, poco meno di 1,4 milioni, interesserà i dipendenti privati e oltre 670 mila ciascuno il pubblico impiego e il mondo del lavoro autonomo. Tuttavia, «se calcoliamo l’incidenza della domanda sostitutiva sul totale del fabbisogno occupazionale in ciascuna delle tre posizioni professionali analizzate (dipendenti privati, dipendenti pubblici e indipendenti), il valore più elevato, pari al 91,6 per cento del totale, riguarderà il pubblico impiego».
La situazione cambia se si considerano le filiere produttive/economiche più interessate dall’esodo degli occupati verso la pensione. «In termini assoluti scorgiamo la salute (331.500 addetti), attività immobiliari, noleggio/leasing, vigilanza/investigazione, gli altri servizi pubblici e privati (pulizia, giardinaggio e pubblica amministrazione che non include la sanità, l’assistenza sociale e l’istruzione) (419.800) e, in particolar modo, il commercio e il turismo (484.500)».
Inoltre, misurando «l’incidenza della domanda sostitutiva sul fabbisogno occupazionale, i settori che entro i prossimi 5 anni si troveranno maggiormente in “difficoltà” saranno la moda (91,9 per cento), l’agroalimentare (93,4 per cento) e, in particolar modo, il legno-arredo (93,5 per cento). Insomma, i principali settori del nostro made in Italy rischiano di non poter più contare su una quota importante di maestranze di qualità e di elevata esperienza».
L’incidenza sui territori
A livello regionale, prosegue la Cgia, nel prossimo quinquennio l’incidenza percentuale della domanda sostitutiva sul fabbisogno occupazionale totale interesserà, in particolare, il Veneto (73,4 per cento). Seguono il Molise (78,5 per cento), il Piemonte/Valle d’Aosta (82 per cento), l’Abruzzo (82,5 per cento) e la Liguria (85,5 per cento). La regione d’Italia più investita da questo fenomeno sarà la Basilicata (88,3 per cento).

Difficoltà nel turnover
Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana sta provocando un grosso problema al mondo produttivo. Infatti, se da un lato l’ingente numero di lavoratori prossimi alla pensione aprirebbe nuove posizioni dall’altro non ci sono abbastanza profili in grado di sopperire alle richieste delle aziende.
Infatti, ricorda la Cgia, «da tempo, gli imprenditori denunciano la difficoltà di trovare sul mercato del lavoro personale altamente qualificato e/o figure professionali di basso profilo». Nel primo caso, le difficoltà di reperimento sono strutturali per via del disallineamento in alcune aree del Paese tra scuola e mondo del lavoro.
Nel secondo caso, invece, si tratta di «opportunità di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono “coperti” dagli stranieri. Una situazione – conclude la Cgia – che nei prossimi anni è destinata a peggiorare: in primo luogo per gli effetti della denatalità e in secondo luogo per la cronica difficoltà che abbiamo a incrociare la domanda e l’offerta di lavoro».
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Articolo aggiornato in data 29 Aprile 2023
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