L’agricoltura è un bene comune che va tutelato. E, dopo due anni di pandemia e con la crisi climatica e geopolitica in atto è necessario mettere in moto una vera e propria “Food RegenerAction“. Si è parlato di questo nel corso dell’ultimo Salone del Gusto, a Torino, che aveva come slogan proprio questo termine.
Durante l’evento, la Cia-agricoltori italiani ha ricordato la gravità del momento. «Gli effetti della guerra e della lunga siccità, tra rincari energetici e costi triplicati, tagli alle produzioni e inflazione alle stelle, hanno conseguenze drammatiche sulle imprese e sulle famiglie, già provate da due anni di Covid, con l’aumento di povertà e malnutrizione», ha spiegato il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini.
Agricoltura bene comune, accesso al cibo
Nonostante l’accesso al cibo buono, sano, giusto e sufficiente sia un diritto di tutti, ha proseguito il presidente di Cia, ancora 828 milioni di persone nel mondo soffrono la fame, di cui 2,6 milioni solo in Italia. «Per questo, oggi l’agricoltura deve essere considerata davvero un bene comune, il primo motore della ripresa e il traino per la transizione verde».
Soltanto «con la salvaguardia e lo sviluppo di sistemi agricoli sempre più sostenibili, innovativi e resilienti, si può garantire la sicurezza alimentare mondiale, ridurre la povertà, difendere l’ambiente e la biodiversità, assicurare condizioni di vita eque dal punto di vista economico e sociale -ha continuato Fini-. È chiaro, però, che il settore primario non può farcela da solo: la politica deve riconoscere finalmente la centralità dell’agricoltura, assicurando più misure dedicate e risorse adeguate», tanto più in questa fase di costi produttivi impressionanti, dal +170 per cento dei concimi al +129 per cento del gasolio.
Supporto delle istituzioni e possibili soluzioni
Secondo la Cia-agricoltori italiani, per superare queste difficoltà è necessario un supporto da parte delle istituzioni. Tra le soluzioni possibili, quella di aumentare l’accesso al credito, soprattutto ai piccoli agricoltori. Garantire l’accesso alla terra e fermare il consumo di suolo (solo l’Italia perde ogni giorno 19 ettari) o ridurre gli sprechi nelle filiere e incrementare il recupero delle eccedenze di cibo da distribuire alle famiglie meno abbienti. Inoltre, assicurare mercati aperti con regole commerciali chiare valorizzando le produzioni di qualità e i territori.
Dal punto di vista nutrizionale l’associazione ricorda l’importanza di promuovere le diete tradizionali, come quella mediterranea. Questo per contrastare alcune modalità di etichettatura (come il Nutriscore) che possono condizionare i consumatori. Infine, investire in ricerca e nuove tecnologie, dalle tecniche di miglioramento genetico all’agricoltura di precisione.
L’etichettatura che divide
E sulla questione del Nutriscore, la Cia trova man forte anche tra i componenti della CNA Agroalimentare. Quest’ultima, tramite un comunicato, ha fatto sapere di essere contraria all’ultimo studio realizzato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea sull’etichettatura dei prodotti alimentari. La ricerca, spiega la CNA, «asserisce che i consumatori preferiscano il sistema colorato Nutriscore all’etichetta a batteria, il Nutrinform, proposta dal nostro Paese. CNA ritiene che si debba fornire al consumatore una completa valutazione degli alimenti sulla base degli ingredienti contenuti nel prodotto per promuovere una corretta educazione alimentare».
Il Nutriscore, invece, avvisa i consumatori tramite il colore del bollino posto sugli alimenti che, nel caso dei prodotti italiani, viaggia tra l’arancione e il rosso. «L’olio extravergine di oliva verrebbe bollinato con il rosso perché il Nutriscore fa riferimento a cento grammi di prodotto. Ma nessuno consuma cento grammi di olio tutti insieme. Il sistema di etichettatura Nutriscore è ingannevole e incentiva comportamenti falsamente salutistici».
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Genetica e agricoltura
Perché si vada sempre più verso la strada di un’agricoltura bene comune è necessario, secondo la Mia, puntare anche sulla genetica. «La strada dell’innovazione genetica è indispensabile per sviluppare piante più green e più resistenti alle malattie e al climate change – ha evidenziato il presidente di Cia, Fini -. Nell’ultimo anno, gli eventi estremi sono praticamente raddoppiati e ormai i fattori climatici, da soli, spiegano tra il 20 e il 49 per cento delle fluttuazioni del rendimento agricolo».
Una variabile sempre più ingestibile per le aziende agricole che «per assicurare l’aumento delle rese, ridurre l’impatto di prodotti chimici, consumare meno suolo e meno acqua, hanno bisogno di alternative sfidanti e varietà più resistenti. Così come di tecnologie per l’agricoltura 4.0, dai satelliti alla robotica alla sensoristica, in primis quella applicata all’irrigazione, vista la siccità ormai endemica con il 20 per cento del territorio a rischio desertificazione e invasi che trattengono solo l’11 per cento dei circa 300 miliardi di metri cubi di acqua annui».
Il tutto senza dimenticare un supporto ai giovani, lavorando sullo sviluppo delle aree interne, di infrastrutture e servizi, del turismo rurale e delle filiere agroenergetiche locali.
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Articolo aggiornato in data 3 Ottobre 2022
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